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Stamattina, aprendo la homepage del Corriere, mi sono imbattuta in questo articolo molto interessante di Marco Antonsich sul blog “La Città Nuova”  L’autore, in merito alla controversa questione dello ius soli, si pone una semplicissima ma quantomai complessa domanda “Noi chi siamo?” 

Cosa significa essere italiani?

Ecco, a me sembra di aver trovato una meravigliosa risposta in una poesia scritta quasi un secolo fa da Giuseppe Ungaretti, un gigante della letteratura italiana, il quale vide l’Italia per la prima volta solamente a 24 anni dopo essere nato e cresciuto in terra araba, ad Alessandria d’Egitto.

ITALIA

Sono un poeta

un grido unanime

sono un grumo di sogni

Sono un frutto

d’innumerevoli contrasti d’innesti

maturato in una serra

Ma il tuo popolo è portato

dalla stessa terra

che mi porta

Italia

E in questa uniforme

di tuo soldato

mi riposo

come fosse la culla

di mio padre

Il meticciato non è un fenomeno nuovo, recente, legato alle ondate migratorie degli ultimi anni. lL’Italia è una terra meticcia da sempre, tutti noi siamo “frutti di innumerevoli contrasti di innesti”. Leghisti e simili, fatevene una ragione e aprite un libro di storia, magari.

Ad un anno dai fatti di Rosarno..

Rosarno un anno dopo, tutto è rimasto come prima. “Per cambiare bisogna avere i diritti” | Redazione Il Fatto Quotidiano | Il Fatto Quotidiano.

Corriere Immigrazione: Rosarno un anno dopo: sit-in degli africani a Roma.

Sapesse, Contessa…

Annamaria Rivera [da Liberazione, 9 novembre 2010]

C’è una fotografia, fra le tante dei «sei della gru» diffuse in questi giorni tramite la rete, che li riprende in posa, insieme, lo sguardo rivolto verso l’obiettivo, l’espressione serena o sorridente, l’indice e il medio alzati in segno di vittoria o piuttosto di auspicio. Osservateli bene quei visi perché sono l’immagine della speranza. Non solo della propria: ottenere un permesso di soggiorno e il diritto di lavorare e vivere in pace e dignità. Ma anche di una nostra speranza: che sul terreno melmoso di questo paese corrotto e putrescente stia fiorendo una generazione meticcia di lavoratori che forse ci insegnerà di nuovo le parole che noi, analfabeti di ritorno, abbiamo dimenticato: parole semplici come pane e lavoro, dignità e rispetto, solidarietà e lotta per il diritto di vivere e di far vivere i propri cari.

Sono le parole arcaiche e concrete del tempo travolto, o solo sommerso, dalla società dello spettacolo in versione italica: nella quale una ragazza marocchina può essere umiliata e vilipesa se sceglie d’indossare un foulard; maltrattata, internata, espulsa se perde, non per sua colpa, il permesso di soggiorno; protetta, coccolata e favorita nella «carriera» da potenti lenoni mediatici e di governo se, mascherata da «velina», intraprende il mestiere più antico del mondo.

Osservatela bene la foto dei sei della gru: due pachistani, un indiano, un egiziano, un marocchino, un senegalese. Sono persone di età diverse; differenti sono anche le biografie, i livelli d’istruzione [fino alla laurea], le lingue materne, i paesi e gli ambienti sociali di provenienza, i mestieri in nero che svolgevano in attesa del permesso di soggiorno. Eppure quei sei sono uguali e uniti nella determinazione e nel coraggio, nella capacità di resistere in condizioni estreme, nella volontà di sacrificarsi per se stessi e per conto dei mille migranti di Brescia che hanno fatto richiesta di sanatoria, hanno versato nelle tasche dello Stato qualche migliaio di euro e non hanno ottenuto il permesso di soggiorno.

Grazie a questi lavoratori, destinati a divenire parte – che lo si voglia o no – del proletariato nuovo e meticcio di questo paese, da qualche tempo le parole arcaiche e semplici della dignità, dei diritti e del conflitto vanno generalizzandosi. Da Castelvolturno a Rosarno, dalla Domiziana alla gru di Brescia, fino alla Torre ex Carlo Erba di Milano, essi osano ribellarsi e rifiutare la condizione di meteci, sfidando la camorra e i caporali, il razzismo leghista e il ministro dell’Interno, nonché il putrido senso comune cresciuto fra una campagna sicuritaria e l’altra.

Ed ecco perché il ministro dell’interno si accanisce contro di loro e chi li sostiene con stile e metodo che qualcuno ha definito cileni: le violente cariche della polizia contro il presidio dei solidali, il divieto di assembramento, la caccia all’uomo per il centro di Brescia, alcuni feriti, il fermo di quattordici nativi/e e di un numero imprecisato di migranti. Probabilmente Maroni e i suoi sodali intuiscono che è finita la pacchia: i «clandestini», gli «extracomunitari», l’informe massa da internamento ed espulsione, i potenziali criminali «di colore», gli spauracchi da dare in pasto al risentimento popolare, le braccia da lavoro senza volto osano rivoltarsi e in tal modo si propongono come persone. E non solo. Il peggio è che pretendano d’insegnare che ribellarsi è giusto ed è di nuovo possibile. Ancor peggio è che vi sia una marmaglia pezzente – comunista, centrosociale, perfino cattolica e anche solidale o disperata senza aggettivi – che sembra disposta a seguire il loro esempio. Peggio di ogni cosa è che quei sei abbiano avuto l’ardire di rivolgersi al presidente della Repubblica come fosse il loro. E’ il mondo alla rovescia, signora mia, non siamo più padroni a casa nostra: ora i «negri» pretendono perfino di darci lezioni di civiltà.

Annamaria Rivera

“[..]E’ un problema nostro o è un problema di un governo che non sa dare risposte e che vuole mantenere la gente in nero perché così è ricattabile e così costruiscono l’Expo a Milano a 3 euro all’ora?”

Ho seguito decine di dibattiti sull’immigrazione, sulla clandestinità, sulla sicurezza, sul rapporto tra immigrati e delinquenza, ma queste sono le parole più belle, più vere, più giuste che io abbia mai ascoltato: lo Stato, al di là dei suoi proclami, non ha nessuna intenzione di combattere realmente la clandestinità perché ci fa troppo comodo avere a disposizione una manodopera debole e ricattabile, da sfruttare e schiavizzare. Il problema è che la maggioranza degli italiani non capisce che in questo modo si stanno erodendo i diritti, non solo dei lavoratori stranieri, ma di tutti i lavoratori e che questi ragazzi sulla gru di Brescia stanno protestando non solo per i diritti degli  stranieri, ma per i diritti di tutto noi. “Gli africani salveranno l’Italia” è il titolo di un bel libro di Antonello Mangano uscito qualche mese fa. Non so se la salveranno, sicuramente ci stanno provando. Almeno loro.

Il titolo del post non fa riferimento alla potenziale ricchezza (inter)culturale dei migranti, ma alla ricchezza materiale, effettiva che gli immigrati portano allo Stato italiano. Il dossier Caritas-Migrantes 2010, pubblicato in questi giorni, infatti, ha messo in evidenza che gli immigrati pagano di tasse più di quanto ricevano in servizi. Riporto l’ intero passaggio sugli aspetti economici dell’ immigrazione:

Gli immigrati assicurano allo sviluppo dell’economia italiana un contributo notevole: sono circa il 10% degli occupati come lavoratori dipendenti, sono titolari del 3,5% delle imprese, incidono per l’11,1% sul prodotto interno lordo (dato del 2008), pagano 7,5 miliardi di euro di contributi previdenziali, dichiarano al fisco un imponibile di oltre 33 miliardi di euro. Il rapporto tra spese pubbliche sostenute per gli immigrati e i contributi e le tasse da loro pagati (2.665.791 la stima dei dichiaranti) va a vantaggio del sistema Italia, specialmente se si tiene conto che le uscite, essendo aggiuntive a strutture e personale già in forze, devono avere pesato di meno. Secondo le stime riportate nel Dossier le uscite sono state valutate pari a circa 10 miliardi di euro: (9,95): 2,8 miliardi per la sanità (2,4 per gli immigrati regolari, 400 milioni per gli irregolari); 2,8 miliardi per la scuola, 450 milioni per i servizi sociali comunali, 400 milioni per politiche abitative, 2 miliardi a carico del Ministero della Giustizia (tribunale e carcere), 500 milioni a carico del Ministero dell’Interno (Centri di identificazione ed espulsione e Centri di accoglienza), 400 milioni per prestazioni familiari e 600 milioni per pensioni a carico dell’Inps. Le entrate assicurate dagli immigrati, invece, si avvicinano agli 11 miliardi di euro (10,827): 2,2 miliardi di tasse, 1 miliardo di Iva, 100 milioni per il rinnovo dei permessi di soggiorno e per le pratiche di cittadinanza, 7,5 miliardi di euro per contributi previdenziali. Va sottolineato che negli anni 2000 il bilancio annuale dell’Inps è risultato costantemente in attivo (è arrivato a 6,9 miliardi), anche grazie ai contributi degli immigrati. Per ogni lavoratore, la cui retribuzione media è di 12.000 euro, i contributi sono pari a quasi 4.000 euro l’anno.”

Inoltre come ricorda un articolo di Repubblica di oggi:

Attualmente è pensionato tra gli immigrati 1 residente ogni 30; tra gli italiani 1 ogni 4. Nel 2025, i pensionati stranieri saranno circa 625mila. A tale data, tra i cittadini stranieri vi sarà circa 1 pensionato ogni 12 persone, mentre tra gli italiani il rapporto sarà di circa 1 a 3.”

Questi dati freddi e bruti dimostrano, che ci piaccia o no, che gli immigrati sono (e saranno) una risorsa economica fondamentale per il sistema-Italia: come ha affermato Franco Pittau, coordinatore del dossier della Caritas, “non è concepibile il futuro dell’Italia senza l’apporto degli immigrati, e questo in ogni campo e settore, dall’economia all’andamento demografico”.

link:

Immigrazione Dossier Statistico – Caritas Migrantes.

Cambia il pianeta immigrazione quasi 5 milioni i “nuovi italiani” – Repubblica.it.

” [..]un uomo carestia, un uomo insulto, un uomo tortura

che si può colpire in ogni momento, fracassargli le

ossa, ucciderlo-ucciderlo davvero- senza dover rendere conto

a nessuno senza dover presentare scuse a

nessuno

un uomo ebreo

un uomo pogrom

un cane

un accattone[..]”

Il documentario “Il sangue verde” di Andrea Segre (andato in onda qualche giorno fa su Rai Tre) mi ha richiamato alla mente questi versi del “Diario del ritorno al paese natale” di Aimé Césaire, pubblicato nel 1939. Il grande poeta martinicano parla degli ultimi, degli esclusi del cosiddetto “Terzo Mondo”, di quei “dannati della terra” che proprio in quegli anni iniziavano ad alzare la testa per rivendicare la propria dignità ed indipendenza. Oggi però, dopo 70 anni, siamo costretti a constatare che la schiavitù esiste ancora, che ci sono ancora uomini trattati come cani perché di un colore diverso di pelle, uomini la cui vita vale poco o niente. Uomini-pogrom. Uomini-carestia. Uomini-insulto. E sono qui tra di noi ma non li vediamo o non li vogliamo vedere. Sono qui a raccogliere, per una miseria, le arance, i pomodori, i meloni,etc..tutti quei prodotti della nostra cucina, vero e proprio marchio di fabbrica dell’italianità, che orgogliosamente esportiamo in tutto il mondo. E se questi uomini osano ribellarsi ai soprusi subiti vengono umiliati, picchiati, gambizzati, uccisi come è successo a Rosarno in questi ultimi anni.

“Il sangue verde” racconta la storia di  Abraham, John, Amadou, Zongo, Jamadu, Abraham e Kalifa, sette migranti africani protagonisti della “rivolta di Rosarno” che raccontano in prima persona, da loro punto di vista, questa vergognosa pagina della storia recente italiana.

il link per vedere il documentario:

Video Rai.TV – Doc3 – Il sangue Verde.

il blog:

il sangue verde.

Doc3 è rimasta una delle poche trasmissioni della rete pubblica italiana per cui vale ancora la pena accendere la televisione. Ogni mercoledì sera su Rai Tre, purtroppo in tarda serata (circa 23.50), vengono mandati in onda documentari d’autore che raccontano storie crude e tenere allo stesso tempo: frammenti di mondo che fanno sorridere, arrabbiare, riflettere e guardare le cose in una prospettiva un pò piu ampia, spostando, per un attimo, lo sguardo dal “proprio giardino”. L’ultima puntata, in particolare, mi ha profondamente toccata: l’oggetto dell’inchiesta  “A casa da soli” di Ionut Carpatorea è la depressione infantile che colpisce, in proporzione sempre maggiore, molti bambini rumeni, figli di madri e padri costretti a partire, ad emigrare nei paesi europei più ricchi, dove spesso si occupano dei “nostri” bambini (e dei “nostri” anziani). E i “loro” bambini, lasciati da soli, spesso non ce la fanno, non reggono al senso di abbandono e di angoscia per la lontananza dei loro genitori e, sempre più di frequente, si suicidano. Non si sta parlando di adolescenti “in crisi”, ma di bambini di 8/9/10 anni o poco più grandi che si tolgono la vita, si impiccano. Una storia così dura da sembrare assurda, ma in realtà è solo implacabilmente ingiusta: questi bambini sono vittime di un sistema socio-economico iniquo al quale tutti partecipiamo spesso senza averne (o volerne avere) adeguata coscienza. Proprio per questo il documentario si configura come  “un prezioso strumento per non rimanere noi – gli “europei”- a casa da soli con i nostri pregiudizi”.

Per chi se lo fosse perso, ecco il link dal sito della Rai:

Video Rai.TV – Doc3 – A casa da soli.

In questi giorni si è parlato tanto dello show del duo Gheddafi-Berlusconi a Roma. Ogni commento riguardo alla triste assurdità della situazione sarebbe superfluo; preferisco lasciarvi qualche link interessante che ho trovato scorrazzando in rete riguardo il “Trattato di amicizia tra Italia-Libia”.

Il testo del trattato:

Ecco il testo dell’accordo Va ratificato dal Parlamento – esteri – Repubblica.it.

Dossier sulla Libia dal sito di Fortress Europe:

Fortress Europe: Speciale Libia.

Un’intervista ad Andrea Segre sul Fatto Quotidiano del 01/09/10:

Andrea Segre: “Così Italia e Libia censurano il calvario dei migranti” | Il Fatto Quotidiano.

E per chi non l’avesse ancora visto ecco il link dell’ormai celebre documentario di Andrea Segre e Dagmawi Ymer “Come un uomo sulla Terra” sulla condizione dei migranti in Libia:

Video Rai.TV – DOC3 – Come un uomo sulla terra.

IERI

“Volevamo braccia, sono arrivati uomini”

Max Frisch

(spiegando perché molti svizzeri erano ostili agli emigrati italiani contro i quali avevano indetto tre referendum)

OGGI

“Finché stanno in fabbrica va benissimo, se poi si mettono in testa di fare una vita normale sembra strano”

Riccardo Staglianò*

(riportando le parole del proprietario di una palestra in cui alcuni avventori italiani si sono lamentati per l’eccessivo numero di clienti stranieri)

“QUOTE DI IMMIGRATI”

Sarkozy: “Siamo pronti a ricevere le parti in grigio”

* Riccardo Staglianò, Grazie. Perché senza gli immigrati saremmo perduti, Chiarelettere, Milano, 2010  p.112-113

Qualche giorno fa, sul blog “Nuovi Italiani” del Corriere della Sera, ho letto un post  interessante (http://nuovitaliani.corriere.it/2010/08/zanko_il_siriano_di_milano.html) che tratta del rapper Zanko, un ragazzo di 28 anni nato a Milano da genitori siriani. Sono rimasta molto colpita dal testo della sua canzone “Essere normale”, un vero e proprio manifesto degli italiani “figli di immigrati”, quella “seconda generazione/stranieri in ogni nazione”.

Ecco il video e il testo della canzone:

ESSERE NORMALE

Son cresciuto nel quartiere della Centrale-station
dove dire immigrato era dire criminale -nation
e quando rivelavo che la mia famiglia era tale-attention please
mi davan del particolare, tu sembri normale, come se la normalita’ fosse una conquista eccezionale
non dipende mai da te
dipende dalla classe sociale, dal colore della tua carnagione personale
se sei diverso sei in prigione, sei illegale, sei un diverso antisociale
un antipatico,un diverso culturale, un diverso asociale,
invece se ti associano alle caratteristiche della gente locale allora si che sei un pari
sei simpatico e impari ad apparire normale
se para apparir normale bisogna omologarsi sconfinar nel superficiale allora me ne vado mi trasferisco al paranormale

son palestinese,sono siciliano
sono albanese,sono africano
sono cinese,sono latinoamericano, sono napoletano
sono il siriano di milano, metrocosmopolitano
so di essere un essere umano
tutti su un piano, tutti su una mano

e allora sembro normale, meno male,
perlomeno non dovrò rischiare di rubare un lavoro a coloro ke nella vita non vorrebbero mai fare il tuttofare,
potro’ avvicinare una sciura, chiederle una pura curiosita’ senza che abbia paura di un malaffare,
senza che si prenda la premura di guardare la borsetta con cura,
il normale non ruba,non stupra, non frusta le donne, non è frustrato e non ti disgusta,
la sua gente è dalla parte giusta giustamente
se sei di fuori sei di una casta di inferiori
vai bene finchè lavori ma solo sotto gli altri
con salari bassi
consolati perkè se apri
una tua attività non va giu a po’ di benpensanti
crolla il politically correct per i privilegi pericolanti

e troppo spesso si mette un qualsiasi tipo sotto indagine,
nonostante la sua fedina sia pulita e come una vagina vergine
arditamente gli dedicano un cofano di 1000 e oltre pagine,
in accuse rakkiuse in 1000 pratike burocratike
+ che pratiche sadiche,in pratica mi sa che a volte il crimine è
provenire da un’altra terra avere una certa origine
mi sa di ghetto e uso per descriverne il culmine il termine ruggine
come fossimo tutti partecipi di ottike terroristiche
multicultura è cardine di metropoli cosmopolite
te la immagini o no una società cosi sadik
storie arabe akid,fi min bisro’ u fi min bi rid
ieshteghel mnih mshan ma idallu ihasbu shakhs gharib mn tarik
bs ktir marrat hatta aza shakhsito hadid el tekel aa dahro teil
laanno bidallu ihasbu shaks gharib mn baiid
everything is gonna be all right allah karim (Dio è generoso)
dama tra tel disi mi, parola di aarabi made in italy

traduzione del pezzo in arabo
Te la immagini o no una societa cosi amico
storie arabe sicuro
c’è ki ruba e ki desidera lavorare pulito
per non essere considerato un estraneo della strada
pero’ tante volte anke se la sua personalita’ è di ferro
il peso sulle sue spalle è pesante
perkè viene continuamente visto come un estraneo da lontano
….

Per saperne di più:

ZANKO Arabe Blanco-NEW VIDEO ONLINE!!! su MySpace Music. Ascolta gratis MP3, guarda le foto e i video musicali..

A tu per tu con il rapper italosiriano – Milano.

Zanko: un rapper italiano dalle molteplici identità.

Rete G2 – Seconde Generazioni.

about me

26 anni, lettrice accanita, studentessa vagabonda, aspirante antropologa, o in alternativa, allevatrice di asini

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Quache anno fa lo scrittore tedesco Peter Schneider affermava che, nonostante la caduta del muro, la gente di Berlino continuava ad avere “il muro in testa”. La barriera reale, fatta di cemento e sabbia, era stata abbattuta ma la linea di separazione tra "noi" e "loro", tra Est e Ovest restava ancora lì, presente e viva, nella mente dei berlinesi. Ovviamente gli abitanti della capitale tedesca non erano e non sono i soli ad avere un muro in testa. Tutti inevitabilmente ne abbiamo uno, inconsistente, immateriale ma estremamente solido: è quell’insieme di idee, stereotipi, pre-giudizi, classificazioni, attraverso il quale tracciamo confini, barriere, decidiamo chi è il diverso, lo straniero, l’altro. Lo scopo del blog è quindi quello di condividere il mio personale e imperfetto sforzo, non certo di abbattere questo muro, pretesa eccessiva e illusoria, ma perlomeno di aprire una breccia, scavare tra i mattoni alla ricerca di fessure che permettano di lanciare uno sguardo a ciò che c’è dall’altra parte, a ciò che per abitudine o indifferenza, tendiamo ad escludere dal nostro orizzonte di intelligibilità, di senso, di vita.

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"Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare, darsi tempo, stare seduti in una casa da tè ad osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l'amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare." Tiziano Terzani

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