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Nell’estate del 1989 Keith Haring realizza a Pisa, su una delle pareti del Convento di Sant’Antonio, un murale dal titolo “Tuttomondo”. Il tema dell’opera è quello dell’armonia e della pace nel mondo, simboleggiato dagli incastri tra le 30 figure che, come in puzzle, popolano i 150 metri quadrati della parete: un’inedita “connessione visuale” con il concetto di Tout-Monde formulato da Edouard Glissant.

Ho da poco finito di leggere un piccolo libro suggestivo (già citato in qualche posto precedente): “Quando cadono i muri” (edito da Nottetempo) di Edouard Glissant e Patrick Chaimoiseau, due scrittori martinicani, eredi di Aimé Cesaire e teorici della creolità. Il libretto si configura come una riflessione breve ma densa sul tema dell’identità. I due autori individuano e analizzano due tipi di identità: l’“identità a radice unica” (l’identità-muro) e l’”identità relazionale”. La prima caratterizza lo Stato-nazione: è un’identità “forte”, dotata di confini precisi. La seconda si basa su una concezione dinamica secondo la quale ogni identità collettiva è aperta e si deve rapportare con il mondo, con l’altro. Nel Tutto-Mondo (concetto “aperto” che gli autori contrappongono al concetto “chiuso” di Stato-nazione) nessuna cultura, nessuna civiltà raggiunge la pienezza di sé se non entra in relazione con le altre, in un incontro di immaginari liberi e diversi che si fecondano reciprocamente. In base a questo distinzione, Glissant e Chaomoiseau riflettono poi su alcuni temi di attualità: a tal proposito due sono i punti degni di nota. Primo: gli autori evidenziano il carattere “economico”, più che culturale, di molti muri contemporanei: “I muri che si costruiscono oggi (con il pretesto del terrorismo, dell’immigrazione selvaggia o del dio migliore) non si innalzano tra civiltà, culture e identità, ma tra povertà e sovrabbondanza, tra ebbre ma inquiete e opulenze e sterili asfissie”. Secondo: gli autori muovono una critica radicale nei confronti del Ministero dell’Immigrazione, dell’Integrazione e dell’Identità (istituito dal  presidente francese Nicolas Sarkozy), contro il quale hanno anche redatto un appello per denunciarne l’assurdità e l’inconsistenza.

La riflessione dei due scrittori caraibici  si inscrive quindi all’interno del pensiero postmoderno (e postcoloniale)  che esalta le identità “deboli, creole e meticcie. Glissant e Chaimoiseau però, per fare questo, hanno optato per uno stile poetico più che saggistico, uno stile ricco di venature evocative e parole pregnanti. Ed è proprio tale aspetto, a mio avviso, a rendere la lettura di questo volumetto particolarmente godibile.

L’appello contro il Ministero francese dell’Immigrazione, dell’Integrazione, dell’Identità:

I muri minacciano tutto il mondo, dall’uno e dall’altro lato della loro oscurità. Finiscono per inaridire ciò che si è già disseccato sul versante della miseria, finiscono per inasprire le reazioni d’ansia che si manifestano sull’altro versante, quello dell’abbondanza. La relazione con l’altro (con qualunque altro, nelle sue presenze animali, vegetali, culturali e, di conseguenza, umane) ci indica la parte più alta, più rispettabile, più feconda di noi stessi. Che cadano i muri.

Noi chiediamo che tutte le forze umane d’Africa, d’Asia, d’Europa, delle Americhe, che tutti i popoli senza Stati, tutti i “repubblicani”, tutti i sostenitori dei “diritti dell’uomo”, gli abitanti dei paesi più piccoli, gli isolani e gli erranti degli arcipelaghi, così come coloro che percorrono i continenti, chiediamo che tutti gli artisti, gli uomini e le donne colti e quelli che trasmettono il sapere, che tutte le autorità al servizio dei cittadini o quelle di buona volontà, che coloro che modellano e creano, levino, in tutte le forme possibili, una protesta contro questo muro-Ministero che cerca di farci adattare al peggio, di abituarci poco a poco all’insopportabile, di portarci a frequentare, in silenzio e fino al rischio della complicità, l’inammissibile.

Tutto il contrario della bellezza.

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26 anni, lettrice accanita, studentessa vagabonda, aspirante antropologa, o in alternativa, allevatrice di asini

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Quache anno fa lo scrittore tedesco Peter Schneider affermava che, nonostante la caduta del muro, la gente di Berlino continuava ad avere “il muro in testa”. La barriera reale, fatta di cemento e sabbia, era stata abbattuta ma la linea di separazione tra "noi" e "loro", tra Est e Ovest restava ancora lì, presente e viva, nella mente dei berlinesi. Ovviamente gli abitanti della capitale tedesca non erano e non sono i soli ad avere un muro in testa. Tutti inevitabilmente ne abbiamo uno, inconsistente, immateriale ma estremamente solido: è quell’insieme di idee, stereotipi, pre-giudizi, classificazioni, attraverso il quale tracciamo confini, barriere, decidiamo chi è il diverso, lo straniero, l’altro. Lo scopo del blog è quindi quello di condividere il mio personale e imperfetto sforzo, non certo di abbattere questo muro, pretesa eccessiva e illusoria, ma perlomeno di aprire una breccia, scavare tra i mattoni alla ricerca di fessure che permettano di lanciare uno sguardo a ciò che c’è dall’altra parte, a ciò che per abitudine o indifferenza, tendiamo ad escludere dal nostro orizzonte di intelligibilità, di senso, di vita.

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"Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare, darsi tempo, stare seduti in una casa da tè ad osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l'amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare." Tiziano Terzani

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